SILVIA SPOLAOR

Silvia Spolaor (Spolly)  1980. 

Nata e cresciuta a Venezia (VENEZIA, quella con l’acqua e senza macchine). Felicemente appartenente alla tenace, sgangherata, genuina sezione contralti. 
Laureata in chimica applicata al restauro e alla conservazione dei Beni Culturali, ma, per il diffuso destino di “impara l’Arte e mettila da parte”, lavoro nell’ufficio didattica del Conservatorio di Venezia (immersa in Arte e Musica, per carità!). Comunque, il lavoro è lavoro e anche se non corrisponde ai miei sogni, cerco di farlo al meglio. Eccomi: mai completamente soddisfatta, ma se si deve fare, si fa. Poi, mi basta attraversare il ponte dell’Accademia e… raggiungo la scrivania!





Io e Venezia

Credo sia difficile spiegare a un “foresto” il rapporto di un veneziano con la propria città: l’amore/odio che ti riempie del desiderio di fuga per poi sentire la stretta del guinzaglio alla gola. Ti manca il fiato ed è tempo di tornare. Rivedi Venezia sempre con nuovo stupore e rifondi un patto di convivenza: capisci ogni volta che non ce ne sono di uguali e che solo qui sei veramente tu.



Io e il coro

Il coro è l’Hobby e coralmente amo stare in compagnia degli amici, perdermi nel mare, viaggiare e mangiare – bene -, perché grazie alle mie origini veneto-tosco-sicule ho sempre goduto del meglio della cultura culinaria delle tre regioni.

A cantare in coro ci sono arrivata con la mia solida sicurezza e il mio noto decisionismo: spinta e tirata da mamma canterina, già corista della Big Vocal Orchestra (guai a me se mi perdevo un concerto); risolutivamente persuasa grazie a un provino coatto organizzato dall’amica Francy - spigliata soprano – e dal Direttore, paziente e lungimirante.





Sul palco tanto divertimento

Fino al 2016, mai, MAI, MAI! avrei pensato di salire su un palco e di esibirmi davanti a un pubblico, non solo con la voce, ma anche con i movimenti. Eppure, dopo 6 anni, resisto. E non mi hanno ancora cacciata! Prove e concerti sono sfide che, a differenza di tutte le altre imprese, affronto sì con paura, ma anche con emozione, attesa, gioia e divertimento. Tanto divertimento.




Mescolare la mia voce alle altre, condividere tempo e passione mi regala un’autentica, sincera felicità. Le prove del venerdì sera sono una liberazione del peso di tutta la settimana; tornare a cantare, poi, dopo due anni di pandemia è stato come riemergere a respirare dopo una lunga apnea.

Come succede con l’acqua del mare, mi lascio portare dalle canzoni che evocano in me immagini di luoghi infiniti e senza tempo: Il Gladiatore e la sua dimensione mitologica (rara occasione per i contralti di essere voce portante e ci viene proprio bene, diciamolo!); City of Stars che è la mia città; Scarborough Fair magica ed evocativa…


Come un’atleta che fa gesti inconsulti e scaramantici prima di una gara importante, anche io prima di un concerto seguo un rituale:

  • scambio foto e consigli su abiti, “sbarluccichi” e rossetti da abbinare (quelli delle altre sono sempre più belli e più rossi);

  • ringrazio Francesca/Francy con un “ti odio!” per avermi trascinata in questa meravigliosa avventura (i contralti ansiosi e timidi ringraziano così);

  • condivido il camerino, i dubbi, le emozioni, le risate e gli spuntini con Eleonora, Francesca, Roberta (soprani) e la Bogli (Francesca Boglietti, contralto); poi battaglia tra sezioni a colpi di “Uh! Uh!” (tanto vincono i soprani a mani basse e voci alte), foto di rito e via, si va in scena!;

  • aspetto la solita raccomandazione della mamma: “Sorridi! Sorridi!” (qua devo lavorarci parecchio: il mio è ancora un divertimento molto interiore);

  • tento (e non ci riesco quasi mai) di essere messa in palco vicino alla compagna di (dis)avventure canore Bogli, ripromettendoci, comunque, di divertirci nonostante gli immancabili errori. Un esempio? Quella volta che su “I think I saw you”, gran finale del Medley dei Coldplay, siamo rimaste immobili davanti al pubblico, mentre gli altri compagni di coro, giustamente, si scatenavano con il movimento previsto. Ci siamo guardate e… abbiamo tentato di rimediare con uno sguardo molto intenso. Non so se il pubblico abbia colto

… e


  • vedo di non dimenticare, in un’elegante bustina di velluto, l’entusiasmo, la voglia di fare bene e la consapevolezza di far parte di una realtà unica: un bel gruppo di drogati da una “magical potion” con cui “take a trip in the air”. La speranza è sempre quella di trascinare chi ci ascolta in un “nuovo territorio”.